sicurezza sul lavoro e consapevolezza

Sicurezza sul lavoro: quanto conta la consapevolezza?

La norma ISO 9001 che regolamenta la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro ha recentemente introdotto il concetto di “consapevolezza” come uno degli elementi che possono aiutare le organizzazioni ad assicurare che le persone che svolgono un’attività lavorativa sotto il loro controllo siano consapevoli della politica e degli obiettivi per la qualità, del contributo personale e collettivo all’efficacia dei sistemi di gestione e delle implicazioni che possono derivare dalla non conformità ai requisiti di sistema per la gestione della qualità.

Ma cosa si intende per consapevolezza quando ci troviamo in un contesto aziendale? Per comprenderlo ne abbiamo parlato con la nostra consulente interna Franca Fardini, responsabile del settore prodotti chimici, ambiente e sicurezza sul lavoro, e Natascia Tonin, formatrice presso SI FA! ,una società che si occupa di intelligenza collettiva, facilitazione e metodologie strutturate per persone e organizzazioni.

emergee sta rivolgendo un’attenzione sempre maggiore al tema della consapevolezza in azienda, e in particolare sta lavorando per capire come questa possa integrarsi con le competenze di natura legislativa e tecniche, per supportare le organizzazioni nel percorso di conformità alle normative in materia di sicurezza sul lavoro. In questa intervista doppia abbiamo chiesto a Franca Fardini e Natascia Tonin di aiutarci a capire meglio le possibili connessioni tra le loro competenze specifiche e come queste possono dimostrarsi utili alle aziende.

Franca come si approccia un consulente come te al tema della salute e della tutela del lavoro?

Il consulente ha un ruolo di responsabilità, sia che lavori all’interno dell’azienda sia che collabori esternamente. I concetti che devo esporre e far assorbire agli addetti alla sicurezza sono:

  • In fase preliminare, conoscere i requisiti di legge, poiché la normativa è obbligatoria e non volontaria;
  • Saper riconoscere i pericoli;
  • Definire una gerarchia che parte dalle responsabilità, passa per i compiti (che cosa devo fare), e arriva alle competenze (cosa devo essere in grado di fare).

Se volessimo riassumere il mio lavoro in due parole direi che il consulente ha funzioni di coordinamento e organizzazione.

Natascia che significato assume il termine consapevolezza sul luogo di lavoro?

Significa lavorare da un lato sulla consapevolezza del sé, delle proprie conoscenze e competenze, e dall’altro lavorare su una consapevolezza più organizzata, che determina ruoli, posizioni, informazioni e scambi di comunicazione. Una delle frasi che sento più spesso dire dai dirigenti è che il ritmo della produzione è diverso dal ritmo della salute e della tutela del lavoro. Parte del lavoro che svolgo in Si Fa! è proprio quello di far comprendere che queste due componenti essenziali possono andare alla stessa velocità.

Franca puoi farci qualche esempio pratico di episodi critici che ti sei trovata ad affrontare?

Il primo caso che mi viene in mente è avvenuto in un’azienda dove una tanica contenente del liquido corrosivo si è rovesciata. L’istinto dell’operatore è stato quello di prendere subito i tappetini assorbenti su cui si era riversato il prodotto; pur essendo stato tempestivo, ha dimenticato di indossare i guanti, sottovalutando l’esposizione al pericolo per la fretta. Anche nelle situazioni di emergenza bisogna invece avere la lucidità di fare mente locale su quali devono essere i dispositivi di protezione da indossare per proteggere se stessi. Il mio intervento in questo caso è stato quindi un richiamo alla formazione, sulla conoscenza dei simboli di pericolo e sulle procedure.

Più in generale, capita spesso che i lavoratori sollevino materiali il cui peso eccede i parametri stabiliti dalla legge, oppure non usino i tappi per le orecchie negli ambienti rumorosi; in queste situazioni il problema non è percepito al momento, perché magari si è anche in grado di caricarsi sulle spalle un sacco che pesa oltre quaranta chili; il problema è che questo può avere delle ricadute economiche sull’azienda in caso di infortunio, e delle conseguenze nel lungo periodo sui lavoratori che hanno sempre più spesso dolori muscolari.

Tutte queste situazioni hanno come errore comune il crearsi di situazioni di comodità per non rallentare il processo produttivo, sapendo di rischiare. Un atteggiamento superficiale può dipendere da due fattori: l’abitudine, cioè la prassi che si sostituisce alla norma, e il comportamento storico dell’azienda, che inevitabilmente influisce sui neoassunti, che non vogliono risultare incompetenti o ancora peggio timorosi agli occhi dei colleghi senior. Il lavoro che va fatto, quindi, è quello di scardinare queste abitudini deleterie.

In questo caso Natascia come può la consapevolezza aiutare a contenere queste “cattive” abitudini?  

Diciamo subito che l’abitudine è un comportamento, e chi assume questo atteggiamento cerca una scorciatoia per evitare di rielaborare tutti i dati e le procedure da eseguire di un compito specifico. Cambiare il tipo di mentalità è abbastanza complesso, specialmente quando si ragiona secondo la filosofia del “ma a me è sempre andata bene” oppure “ma tutti fanno così”. La mia opinione è che bisogna costruire un nuovo kit di esperienze di successo. Il modo migliore è di coinvolgere gli addetti alla sicurezza e i lavoratori, in modo che le pratiche da adottare per attuare le norme le sentano più frutto del loro lavoro e al quale tengono. È una spinta motivazionale per far bene.

Quello che invece può essere fatto dopo che una situazione critica si è verificata è rileggere la prassi seguita fino ad allora, in modo da invertire la tendenza in una direzione di maggior responsabilità e consapevolezza.

Secondo voi come si potrebbero avvicinare e combinare la conoscenza normativa e la consapevolezza che da essa deriva?

F: ci dev’essere anzitutto un forte incentivo sia da parte del datore di lavoro sia da parte del dipendente per colmare il divario tra la situazione ideale e quella reale. Occorre poi un lavoro di sinergia, altrimenti avremmo delle belle regole che sono fini a se stesse. Infine, per avere padronanza delle proprie competenze serve avere consapevolezza riguardo a cosa dovrei fare, cosa non sto facendo e cosa non devo assolutamente fare.

Alla luce di quanto appena detto, quale potrebbe essere una definizione di consapevolezza che sia applicabile alle richieste specifiche della normativa ISO?

F: ci ho pensato e sono arrivata alla conclusione che per me è la capacità di comprendere le conseguenze delle azioni compiute o mancate, le conoscenze e abilità che una persona dovrebbe avere o che ancora non ha.

N: Sono molto d’accordo. Aggiungerei anche che consapevolezza è la capacità di comprendere come quello che faccio viene percepito dagli altri.

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